Un nuovo mostro giuridico: l’interesse “giudiziale"

Un nuovo mostro giuridico: l’interesse “giudiziale
03 Luglio 2015: Un nuovo mostro giuridico: l’interesse “giudiziale 03 Luglio 2015

La tensione riformatrice della giustizia civile che ha pervaso i nostri legislatori non conosce soste, né confini concettuali. Uno dei tanti rimedi (o supposti tali) alla lentezza del processo civile escogitati di recente ha trovato spazio nel decreto legge n. 132/2014 (convertito con legge 162/2014), recante norme in materia di “degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civili”, e si è tradotto nella novellazione dell’art. 1284 del codice civile (rubricato “saggio degli interessi”), cui sono stati aggiunti due nuovi commi che dispongono quanto segue: “Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.   La disposizione del quarto comma si applica anche all'atto con cui si promuove il procedimento arbitrale”. Quello legale diviene, in tal modo, un saggio d’interesse “a due velocità”, perché a quella ordinaria (annualmente determinata con decreto del Ministro del Tesoro), si affianca quella “giudiziale”, che prende corso dalla data in cui il creditore propone domanda giudiziale, anche se in sede monitoria come ha stabilito il Tribunale di Milano (decreto 13.2.2015), ovvero promuove l’arbitrato. Da questa data l’onere degli interessi, per il debitore che non li abbia negozialmente pattuiti (come frequentissimamente avviene), diventa ben più oneroso di quel che era fino a quel momento, poiché il saggio dell’interesse “giudiziale” è equiparato a quello fissato dal decreto legislativo n. 231/2002 (per la “lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”) mediante la maggiorazione di otto punti percentuali del “tasso di riferimento” stabilito dalla BCE (che ha sostituito il “tasso di sconto”). Oggi si tratta di un 8,15%, calcolato tuttavia su un “tasso di riferimento” giunto ad un minimo storico difficilmente immaginabile per il futuro. Poiché la norma non prevede eccezioni, il saggio “giudiziale” si applica ad ogni genere di credito (attenga esso al risarcimento di un danno o ad un assegno famigliare, ad un canone di locazione abitativa o ad un trattamento previdenziale…) . Due domande paiono lecite. La prima riguarda il fondamento razionale (e la coerenza sistematica) della nuova norma, posto che un credito non muta la natura giuridica che gli è propria per il solo fatto d’esser stato azionato in sede giudiziale, riflessione questa che potrebbe indurre più di quale perplessità d’ordine costituzionale. La seconda, per la quale i dubbi di illegittimità paiono tradursi in certezza, riguarda la compatibilità di misure di tal genere col diritto di far valere in giudizio le proprie ragioni, che l’art. 24 della Costituzione garantisce a “tutti”, ma che un onere così gravoso (oltre ai tanti altri che una parte deve già sostenere …) rischia di far divenire un privilegio riservato solo a chi può permetterselo. Insomma, siamo sicuri che rendere sempre più costoso l’accesso alla giustizia civile, con l’intento di ridurre il “carico giudiziario”, sia compatibile con i principi fondamentali dello Stato di diritto?

Altre notizie